11 Ottobre 2005
L’aereo che ci porterà a Buenos Aires dopo un viaggio transoceanico di 14 ore, parte da Roma alle 20,30.
Noi tre siamo ora all’aeroporto di Ronchi, Trieste. Sono le 11,30 circa. Non conosciamo tutti gli altri che suonano. Ma li riconosciamo. Al seguito dei quattro gruppi che compongono il cast di questo PRIMO FESTIVAL SUDAMERICANO DI ROCK del FRIULIVENEZIAGUILIA, composto da TRE ALLEGRI eccetera eccetera, Arbe Garbe, Kosovni Odpadki, Krasky Ovcarji, ci sono un “giornalista free lance” e un “fotoreporter dotato di telecamera”. Al check-in passano tutti con il tango dei bagagli impossibili e le leggi sulla sicurezza del volo. Tutti a imbarcare i propri strumenti in cabina, questo è il tentativo. Passano tutti. I carabinieri fermano invece il giornalista free lance, a loro non piace il suo passaporto tedesco in scadenza e ancora meno lo zainetto da liceale, incerto custode di abitudini adolescenziali ancora vive. Risultato: momentanea perdita del reporter, ritrovo a Roma alcune ore più tardi per partire finalmente alla volta delle americhe. Fra 14 ore siamo a Buenos Aires.

12 ottobre 2005
Quattordici ore di aereo ci porterano a undicimila metri di altezza, a dodicimila chilometri da casa in un aereoporto che assomiglia agli altri delle metropoli mondiali ma dove ci aspetta Cecilia. Il nostro angelo custode. In attesa del Combi (furgone), che ci porterà all’Hotel Roma, Microcentro, Buenos Aires, Enrico mi dice che gli piacerebbe fare una versione italiana di un brano di Elliott Smith. Il brano si intitola Everything Reminds Me of Her. Fa per me. La morte di Elliott Smith, con una coltellata al petto, qualcuno dice non essere un suicidio. Qualcuno dice potrebbe essere stata la sua ragazza. Quella di cui parla la canzone? Il 28 ottobre, alla fine di questa gira (giro, tour) suonano, in un festival che si chiama BUE (Buenos Aires nonsobeneché) un bel po di gruppi internazionali, THE STROKES in testa. I Ramones lo dicevano che Buenos Aires è la città migliore dove suonare il punk rock.
La prima vera notizia è che la prima data, a Rosario non si farà. Dicono che non vogliono che suonino gruppi punk a Rosario.
Avevo letto le schede dei gruppi prima di partire. Arbe Garbe e Kosovni ribadiscono orgogliosi le loro origini punk e lo scrivono sul volantino. Il suono è folk, gli strumenti tradizionali, le parole friulane o slovene o castellane o italiane ma la radice della loro aggregazione è punk, cioé antagonista. Ma punk ricorda anche un adolescente sputatore, che odia i genitori vestito con un collare da cane che bestemmia contro il futuro. Ma forse non è neanche così. Ci raccontano che dopo la tragedia del CRO MAGNON, il locale dove sono morti durante un concerto 200 ragazzi a causa di un incendio, nel dicembre passato,a Buenos Aires, suonare nei locali, per i gruppi piccoli che non possono permettersi grossi investimenti sulla sicurezza sono diventati difficili.
Qualcuno dice che c’è chi vuole fermare il rock. In Argentina non è possibile. La prima vera data sarà nella piazza di CORDOBA, sabato.

13 ottobre 2005
Ferrari. Per la maggior parte della gente Ferrari vuol dire corse, stile italiano, tecnologia. Per me, da quando ci sono stato la prima volta, circa tre anni fa, nel quartiere Ferrari nella Grande Buenos Aires, nel comune di Merlo, Ferrari è un altra cosa. A Ferrari c’è la povertà, a Ferrari ci sono i bambini, a Ferrari c’è un prete che era un medico e che da dieci anni lavora assieme a gente bellissima per dare un po’ di speranza a queste persone che abitano un’altra Argentina. Quella di cui si sono innamorati TANO GUIDO e altri amici argentini, coscienti che, se il loro paese non renderà meno drammatico il rapporto fra i pochi ricchi e i poveri, senza lavoro, il loro non sarà mai un paese ‘normale’. Gli Arbe Garbe, con la loro solita generosità suonano ottoni spettacolari e fisarmoniche della festa. I bambini venuti per la colazione del pomeriggio, un piano nazionale di distribuzione di latte alle fasce più povere, li guardano, sorridono e battono le mai. Enrico suona il BOMBO che è come suonare il basso con una sola nota ma muove il tempo.
È un altra Buenos Aires, non quella dei grattacieli e delle avenida dei negozi dove sta il nostro albergo. Per arrivare andiamo con la metro fino a ONCE, da li prendiamo il treno fino a Merlo. Poi in Collettivo (Autobus) fino a Ferrari. Il paesaggio cambia radicalmente. Piqueteros incapucciati con i tamburi, gente che vende qualsiasi cosa nel treno ad un pesos, le facce della gente, con i segni della vita sopra, qui è tutto vero, niente fashion, le nostre facce impossibili. Anche questa è la nostra tournée. Un’occasione che ci hanno regalato di incontro con la gente attraverso la musica. Una fortuna.

14 ottobre 2005
Qui comincia l’avventura…
Davvero questo è il primo giorno per mettere a puntino la tournée. Partiamo per Colonia Caroya, dove dormiremo la sera per ripartire verso Cordoba, dove il giorno dopo, sabato faremo il primo concerto. Il viaggio sarà lunghissimo. Sono circa 900 km da B.A. alla Colonia. Siamo in 36 compresi due fonici, fra i quali il nostro GG, divisi in 3 furgoni, detti COMBO e tutti i bagagli e gli strumenti. Molti dei gruppi hanno fiati e strumenti tradizionali come fisarmoniche, mandolini, chitarre acustiche, tutti nelle loro custorie. Volumetricamante è come fossimo in 60. Magia argentina e tutto sta nei COMBO e in un’appendice. Un carrellino pieno di strumenti. Nel combo dove sto assieme a qualche Arbe Garbe, due treallegri, Enrico e Gigi, e un po’ di JabberWocky. Qui si parla in castellano, italiano, friulano, sloveno e i JabberWocky in bergamasco… Impareremo tutti qualcosa di nuovo. È stata anche stampata una compilation dove tutti i gruppi presentano tre pezzi. La ascoltiamo durante il viaggio. Quando arriva il pezzo dei JabberWocky cantato in bergamasco che incita a non lavorare capisco perché sono stati invitati al primo festival ROCK sudamericano di musica del FRIULI VENEZIA GIULIA. Sono di Bergamo, ma sono bravissimi. Il viaggio mi piega una clavicola ma l’ospitalità, arrivati a Colonia, dico l’ospitalità dei discendenti degli emigranti friulani della fine del 1800, che ci accolgono, guarisce tutto. Domani primo concerto nella piazza di Cordoba. Intanto festa.

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15 ottobre 2005
Cordoba è la seconda città dell’Argentina per grandezza per importanza. Suoniamo nella piazza principale, vicino al municipio. L’impianto è buono, GG bravissimo. È la prima con 36 musicisti, anzi 43 perché c’è anche un gruppo argentino che suona. La scaletta è questa: Pata De La Tuerta, Kosovni Odpadki, Jabberwocky, Kraski Ovcarji, Tre Allegri, Arbe Garbe. Enrico inventa la rotazione dei gruppi. Da oggi suoneranno i gruppi nello stesso ordine ma a scalare, così avranno le stesse possibilità di incontratre il pubblico suonando a rotazione nei diversi ordini possibili, senza perderci sapendo che prima di noi e dopo suonano sempre gli stessi.
Il concerto comincia e sembra una magia. Tutto funziona come fosse un festival preparato da settimane. Nessun intoppo tecnico. La Pata De la Tuerta fanno un crossover latino molto energico e teatrale. Con maschere e figate varie. Me enamoré de la mujer policía… facile da capire. Mi sono innamorato di una sbirra, cantano. Bravissimi.
30 minuti a testa. Quando suonano i Kraski Ovcarji, i cani da pastore del carso, un gruppo di studentesse brasiliane va in delirio. La piazza ha una rotazione di gente. È comprensibile. Lo spettacolo dura quasi 4 ore.
Lo spettacolo funziona. Questa è la verità.
Finito andiamo a mangiare con il console italiano a Cordoba in un posto che si chiama America. Perché qui, davvero siamo in America. Solitamente noi italiani facciamo coincidere gli Stati Uniti con America. Sbagliato.
Il console è giovane e gentile. Al direttore dell’Istituto di Cultura di Cordoba, il Sig. Volta, nostro ospite, piacciono i fumetti. Anzi è un esperto di fumetti. Parliamo e ci divertiamo. Dopo la cena qualcuno resta a Cordoba, la maggior parte tornano a Colonia Caroya, per dormire. Tutti ospiti in casa di famiglie.
La festa continua.

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16 ottobre 2005
Oggi è la festa della mamma. Come in tutta l’America che è un paese giovane le feste nazionali sono molto sentite. È un’opportunità per sentirsi nazione. Mangiamo a casa delle famiglie dove siamo ospiti. A Colonia Caroya, uno strano paese nel centro della pianura Argentina dove i gesti delle persone sono gli stessi del friuli rurale di oggi. Al Macadam, il locale dove ci troviamo, dove si mangia alla friulana, ci sono le foto dei primi friulani che costruirono la colonia. Sono facce di pionieri, è il 1875. La frontiera, il mito del west, della fortuna nei loro occhi. Indimenticabili.
Qui a Colonia Caroya gli Arbe Garbe sono star. Hanno anche dei gruppi che fanno le cover.
L’impianto è lo steso di Cordoba. Suonano con noi anche due gruppi locali, un trio di bambini con piglio punk, ai quali GG da un suono da gruppo navigato. Avranno dai 10 ai 14 anni. Così deve essere. Subito dopo i ROMPI COjONES, la stessa mescla dei gruppi tipo Arbe Garbe. Strumeti tradizionali e intenzione rock. La vera star della serata è LA PATA DELLA TUERTA, il gruppo che ieri ha aperto il concerto e che oggi, ricambiando il favore, suonano prima degli Arbe Garbe, come dicevo prima, le stars della serata. La serata finisce ancora al Macadam, vino e Fernando, Cocacola e Fernet. La bevanda nazionale. Ma GG trova una variante più tropicale. Brancamenta e Sprite. Risultato che potete immaginare.

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17 ottobre 2005
La mattina si parte per San Juan. Una città sotto le Ande in mezzo al deserto. I notri mezzi di trasporto sono tre furgoni da 13 posti, appesantiti da un carrello per gli strumenti, noleggiati a Buenos Aires. Una Metropoli bellissima ma spietata. Tritacarne, la chiamano. Le tre caravelle con le quali affrontiamo la conquista dell’America sono guidate da Ector, Pablo e Fabian. La Nina, la Pinta e la Maria entrano nel deserto de La Rjoca senza crederci troppo. Sono 1000 km quelle che ci serparano da San Juan. Vicino a Desiderio Tejo, paesino che già conosco per precedenti viaggi, e precisamente a MILAGRO la Pinta, guidata da Fabian ha dei problemi seri. Il raffreddamento cede. Odore di bruciato nel furgone più a rischio. Quello che traina il carrello degli strumenti. Prima sosta. Il radiatore succhia tutte le riserve di acqua che ci eravamo portati. Tutti in giro per il deserto a raccogliere quarzi. Ripartiamo. Dopo pochi chilometri il problema si ripresenta. Nuova sosta. Tutti giù, di nuovo nel deserto. I Kraski approfittano per fare foto esotiche alla Bon Jovi, altri continuano la raccolta di quarzi colorati, altri cercano di ridere, per esorcizzare il pericolo evidente. I tre chauffeurs decidono un intervento chirurgico sul mezzo. Asportano il radiatore e interrompono il tubo dell’aria condizionata. A me pare una follia ma il furgone, puzzolente di gasolio, anche all’interno riparte. Ci fermiamo a Milagro, dove c’è un’officina per capire il danno. Milagro è un paese di un officina e una casa con una famiglia. I due uomini della famiglia stanno scavando con due pale, a mano, un buco nel terreno largo tre e profondo cinque metri. Trenta italiani escono dai furgoni per invadere la vita quotidiana della famiglia. Tutti si accorgono della bellezza della figlia maggiore, tutti anche della madre, tutti fotografano o riprendono lo sforzo umano della costruzuione della cisterna, buco, fatto a mano. Luca regala tre maschere e viene ricambiato con un vaso di miele. I Kraski continuano il loro set fotografico nel deserto. Che sia un film di Kaurismaki? Pochi chilometri dopo, la Pinta fora una ruota. La posteriore destra. L’acqua è finita. Siamo in pieno deserto, senza comunicazione telefonica. Qualcuno, tra i quali io cominciamo a parlare di come la temperatura nel deserto, la notte, sia al contrario di ora, freddissima. Andiamo incontro alla morte? La ruota viene cambianta, con discrete difficoltà. I chauffeurs sono completamente sporchi di olio e stanchi. La Nina, mutilata ma in moto viene spedita avanti. La Pinta e la Maria stanno in carovana perché la Pinta mostra un preoccupante gonfiore alla rota posteriore destra. La velocità diminuisce radicalmente nella speranza di arrivare a Chepes, a 200 km da dove siamo, dove potremo incontrare un gommista. Succede. Siamo a Chepes. Mentre ci rifocilliamo in un distributore servito, la gomma viene cambiata. La Nina è lontana e senza collegamente telefonico. Avrà resistito il motore amputato? Mancano trecento km a San Juan. È notte. La Pinta e la Maria ripartono a velocità sostenuta per recuperare il tempo perso. L’equipaggio è terrorizzato. Passiamo davanti alla Santa Correa, un santuario pieno di ex voto di camionisti che hanno superato il deserto de La Rioca. Passiamo dritti a velocità supersonica, senza badare alle curve. Arriviamo a San Juan dove ci aspettano stremati dall’attesa i nostri ospiti. Sono le 3 del mattino. Io, Gigi e Luca siamo ospiti da Fernando. Un amico. Enrico ha la febbre. Non mangia e va a dormire, come noi prima della tragedia finale. Nel tragitto dal posto dove si mangia al posto deve si dormirà, l’autista della Maria, distrutto da 15 ore di viaggio impossibile, fa scendere tutti in mezzo alla strada e se ne va a dormire. Io, in questo momento sono già dentro ad un letto. Domani si suona. Siamo qui per quello.

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18 ottobre 2005
Io, Leo degli Arbe Garbe, Lucky per i Jabberwocky, Davide Drius per i Kosovni e Aljosa per i Kraski ci svegliamo presto per andare a Mendoza a fare una conferenza stampa per il concerto del giorno dopo.
La situazione con le tre caravelle è al limite, ma di questo parleremo dopo. Resta la conferenza da fare e soprattutto il concerto a San Juan. Incontriamo il Console e gli organizzatori locali. La signora Toninetti e il signor Italo. Mi racconta del trauma che ha vissuto quando nel ’49, lui aveva 9 anni i suoi genitori decisero di andare in Argentina, lasciando la Sicilia. È un uomo con una cicatrice enorme. Non si può fare questo ai bambini. Per questo Italo non è tornato in italia, perché qui ha una famiglia e ai suoi bambini ha preferito non fare lo scherzo che i suoi genitori gli hanno fatto.
I giornalisti ci chiedono del rapporto fra noi e il solo rock italiano che abbia superato le frontiere italiane, quello degli anni 70. PFM, Banco, il rock progressivo. Cosa dovrei rispondere? Ci penserò.
Il posto dove suoneremo domani è una bellissima sala concerti attrezzata da 3000 posti. Siamo in America. Già lo sapevo.
A San Juan l’anfiteatro è già pronto quando siamo di ritorno. GG ha preparato tutto. Suona una banda locale di Metal. Il concerto degli italiani cresce. Le emozioni tante. Ultima l’abbandono delle tre caravelle. Arrivano alle 24.30, come richiesto. Gli Arbe Garbe sono ancora sul palco. Dopo pochi minuti se ne vanno lasciandoci lì… è l’ora delle decisioni. Una bella riunione collettiva licenzia le caravelle di Buenos Aires e con l’aiuto dei Sanjuanini decidiamo di trovare una corriera, che ci dia la possibilità di finire la tournée, ancora lunga e impegnativa.
Quando restiamo a guardia degli strumenti nel parco vuoto e ci raccontano di ladroni e assalti, che in Argentina si possono subire, ci facciamo forza ridendo e sparando stronzate.
GG inventa un nome per gli autisti che ci hanno lasciato per strada, i “GNU’ GNU'”. Per tutti resteranno per sempre i “GNU’ GNU'”.

19 otttobre 205
La mattina vado con Fernando a portare il materiale raccolto durante il concerto in una scuola, una specie di collegio per bambini con problemi economici o familiari. Una parte importante dei nostri concerti è proprio questa. Quella legata alla PATA SOLIDARIA. Ogni concerto ha un’ ente beneficiario. Quello di San Juan è appunto questa scuola. I bambini aiutano a scaricare i sacchetti. Sono indumenti e qualche scarpa. Sorridono valutando il contenuto della raccolta sistemati in una catena di San Antonio del quale sono la testa. Ammucchiamo tutto sotto l’insegna della scuola e facciamo una foto. Io, i bambini, la diretora della scuola e qualche suo collaboratore dei quali siamo ospiti per pranzo. Poco lontano in uno spazio comune ci aspetta un asado. L’asado aspetta noi e noi aspettiamo il nuovo mezzo di trasporto che dopo la defezione delle caravelle ci portera’ in giro per questi 5000 km che ci mancano per concludere la tournée. Arriva una specie di astronave di colore verde, con le scritte gialle. San Juan, Mar de la Plata, c’è scritto sulla fiancata e più o meno il tragitto che faremo, passando prima per l’ Uruguay. La corriera, da ora denominata collettivo ha un nome “sueño dorado”. Quello che ci meritiamo. Ci separano due ore e mezzo di viaggio per arrivare a Mendoza, dove ci aspettano per la data del tour di oggi. Arriviamo in due ore e mezza. Perfetto.
L’accoglienza è calda e il lavoro della conferenza di ieri ha dato i suoi frutti. Stampa locale piena di foto e dichiarazioni dei gruppi italiani. I camerini si riempiono di trombe e riff di violino e clarini. Le bocche dei trombettisti sono gonfie dalla fatica dei concerti dei giorni scorsi. Cecilia scatta foto perché il posto è davvero suggestivo. Viene a trovarci il console italiano e rivedo il Sig. Italo e la signora Toninetti. Ragazze sorridenti ci accolgono con l’ospitalità speciale che qui per noi è diventata solita. Decidiamo visto l’ambiente chiuso e teatrale di giocare la carta del concerto, diciamo acustico. Ci aiuta la voce di Pasolini ad introdurre il concerto. Il concerto scorre. Lo spettacolo ricco e pieno di cose. I ragazzi giunti a vedere il nuovo rock de Italia ballano soprattutto con Jabberwocky.
Poi mangiamo. Tutti assieme nella stessa struttura che ospita la sala da concerto. Abbracci lunghi e pieni di emozione per salutare. Con gli occhi lucidi montiamo in COLLETTIVO. Questa sarà una notte di trasferimento per arrivare in Uruguay passando per Buenos Aires. Sono le tre e mezza e si parte.

20 ottobre 2005
Apro gli occhi verso le sei e mezza del mattino. Il Collettivo silenzioso corre sulla ruta che porta a Buenos Aires da Mendoza. Avremmo fatto 300 km da quando siamo partiti, ne mancano altri 500. Tutti i finestrini della corriera mi regalano l’alba più bella che ho visto nella mia vita.
L’orizzonte enorme nella infinita pianura Argentina dove il cielo sembra più grande del nostro e il sole spunta enorme dalla terra per regalare la luce rosa e poi arancio di un’alba del terzo millennio.
Quando il sole è quasi tutto fuori, chiudo le tendine delle finestre per non svegliare tutto l’equipaggio di musica che dorme.
A Buenos Aires staremo all’Hotel Roma che già ci ha ospitati il primo giorno di arrivo. La sera in giro per la zona pedonale del centro. In cerca delle bibite che abbiamo imparato a bere. Ma siamo lenti, stanchi. Ci riesce male quasi tutto. Forse è meglio dormire. Domani ci aspetta il trasferimento a MONTEVIDEO.

21 ottobre 2005
Ci raggiunge Mauro Sabadini, l’incredibile inventore di questa bellissima esperienza. Con Mauro ho fatto solo cose speciali. È un angelo con una visione bellissima. Ci racconta che forse avremo problemi alla frontiera con l’ Uruguay. C’è un livello di corruzione ancora alto in America del Sud, e le frontiere non sempre facili. Partiamo presto perché i nostri ospiti in Uruguay ci aspettano per cena. A vederlo sulla cartina il viaggio sembrava possibile. Ma alla frontiera succede quello che Mauro ha previsto. Il problema è il trasporto degli strumenti. Che vogliano soldi? Proviamo anche un collettone. Forse il problema è diverso. Mauro scalda il suo cervello al cellulare per provare a contattare consolati italiani e autorità varie che possano aiutarci. Impariamo al bar della frontiera il valore del cambio uruguayano. Alla prima ora se ne somma un’altra e ancora una e poi un’altra. Quattro o cinque ore fino a quando una telefonata di Mauro risolve finalmente la situazione. Rimontiamo in Collettivo per raggiungere la nostra meta. Montevideo è a 5 ore di corriera. I nostri ospiti ci aspetterano comunque. Arriviamo verso l’una di notte. La tavola è preparata in una bella casa di campagna del sig. Mendez-Zilli. C’è insalata, oltre alla carne e del pane raffinato, con semi di sesamo. I vecchi parlano in friulano come lingua franca. Meglio dell’italiano, meglio del castigliano. La solita ospitalità speciale. Un ossimoro. Strappa la pelle. Siamo stanchissimi. Dormiamo ospiti delle famiglie. Io, Enrico, Luca, Jon, Leo e Federico siamo in questa. Devo dormire su un letto. Lo faccio.

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22 ottobre 2005
Primer Festival Sudamericano de rock friulano. Plaza Matriz.
Il concerto è diviso in due parti. La prima a mezzogiorno, nel mezzo del mercato che si svolge nella piazza. La seconda la sera. Primo set Jabberwocky e Kraski Ovcarji, la sera Arbe Garbe, Tre Allegri, Kosovni Odpadki. Il sig. Mandez-Zilli mi porta al museo di Joaquìn Torres Garcìa, il pittore più importante dell’Uruguay e mi regala due stampe delle sue opere e un catalogo. L’opera più famosa del pittore è una rappresentazione dell’America Latina ‘rovesciata’ dove al nostro nord, corrisponde il sud. La disdascalia del disegno dice proprio questo:… porque in realidad nuestro norte es el Sur. No debe haber norte, para nosotros, sino por oposiciòn a nuestro Sur. Esta rectificatiòn era necesaria; por esto ahora sabemos donde estamos.
Nonostante le nuvole che raffreddano l’aria è un concerto davvero bello. La gente risponde in modo entusiasta alla musica. Il banchetto vende tutto, maglie, dischi. Ogni concerto ha un ente beneficiario. Questo di Montevideo raccoglie cibo a lunga conservazione. Pasta, riso e altri alimenti di questo tipo. Il concerto, chiuso da Kosovni, in splendida forma, finisce con tutti sul palco che cantano una versione hard-core di Bella Ciao. Il pubblico risponde con un coro allegro di ANARCHIA, ANARCHIA… la festa continua giù dal palco con la BANDA degli ottoni che suona in mezzo alla gente. Dieci fiati, qualche tamburo e la fisasarmonica. Intanto Montevideo si è accesa di locali. Ora siamo a casa di Josè Mendez-Zilli. La tavola è piena di cibo. Mate e caffé per chi lo vuole. Josè accende il giradischi e ci aiuta a capire meglio quello che abbiamo vissuto. Mette sul piatto un disco di un gruppo Uruguagio degli anni ‘70. Si chiamano Totem. Ascoltiamo. Forse ha ragione. Il rock è una cosa degli anni ‘70.
Piano piano i nostri ospiti vanno a dormire. Le giornate sono state lunghe e la stanchezza si fa sentire. Restiamo io, Luca e Federico degli Arbe Garbe a sentire la toria della musica in Uruguay raccontata direttamente da José. Ci parla del CANDOMBE e della MURGA. Già ne avevo sentito parlare e avevo fantasticato su. Il camdombe è un modo di suonare i tamburo che arriva dall’Africa.
La Murga è una specie di musical. Un misto di canto, teatro satira, pantomima in maschera, ricorda elementi visivi del carnevale di Venezia. È una specie di satira politica o sociale. Tutti sono gente comune ma la professionalità, se cosi’ si vuol chiamare, è altissima. I cantanti fantastici, i costumi perfetti, le maschere dipinte sul volto. E Josè ci racconta tutto, ci fa scoltare le canzoni e ci spiega. La lingua, la sua, ha il suono giusto per spiegare la murga. La sua componente artistica e la sua componente sociale. Sono le sei del mattino. Ci racconta anche dell’Uruguay e della sua drammatica storia. Visto da qui il ‘nemico norteamricano’ sembra più grande e spietato. È una prospettiva rovesciata quella di questo emisfero.

23 ottobre 2005
Oggi la giornata sarà tutta dedicata a noi, prima della partenza, verso mezzanotte per un viaggio che ci riportrerà domani in Argentina e precisamente a La Plata, dove suoneremo. Ma oggi abbiamo un giorno intero per incontrare i nostri ospiti. Gli uruguaiani-italiani di Montevideo. Un edificio bianco con una grande scritta esterna verde. CASA DEGLI ITALIANI. Arrivo un po’ in ritardo e tutti sono gia seduti per mangiare. Una tavolata da 100 persone a ferro di cavallo nella grande sala. Sulla destra un dipinto dell’italiano più famoso in questo paese. Giuseppe Garibaldi. Ha combattuto per la libertà dell’Uruguay e Anita, il suo amore era uruguyana. Della famiglia Mendez-Zilli i due fiori più giovani sono due bambine, figlie di Veronica, di circa dieci anni. Anna e Eliz. Proprio loro mi dicono che ci sarà una sorpersa per noi prima della fine del pranzo. E la sorpresa arriva. Sono tre suonatori di tamburo. Arrivano con la loro tipica camminata lenta, a passetti. E intreccciano le figure dei suoni prodotti percuotendo la pelle del tamburo con una mano nuda e un pezzo di legno. Come figure geometriche entrano ed escono una dall’altra rendendo concrete le parole di Josè della notte precedente. Quando il suono si ferma è il momento della spiegazione. I musicisti parlano ai musicisti e ci spiegano come i tamburi sono costruiti, da dove vengono e come si suonano. Ci spiegano la pantomima del ‘vecchio’. La tradizione dei negri. Ed ecco che arriva il quarto attore. Un cappello e un bastone per interpretare il vecchio che a stento segue il ritmo erotico della danza dei tamburi. E l’invito al ballo viene raccolto dalla nostra bellissima ospite che segue il vecchio nei suoi passetti ipnotizzati. La spiegazione è chiara e siamo pronti per vedere un vero candombe. Si perché non esiste candombe con tre tamburi. Devono essere almeno 40 o di più. Andiamo a piedi fino alla spiaggia di Montevideo assieme a due ragazzi. Disegno sulla sabbia con il piede un enorme aquila a riposo. Penso sia l’aquila del Friuli che di solito ha le ali spiegate, forse la mia stanchezza. Gli amici Uruguiani ci dicono che in una piazza poco distante ci sarà fra poco una prova di candombe. Quando arriviamo nel punto dell’appuntamento, non troviamo nessuno. Ci spostiamo di poco e il suono dei tamburi ci indica che sono a una quadra da noi. 40 tamburi intrecciano il loro suono in una lenta camminata. Davanti le vecchie come ci avevano spiegato prima. Tre ballerine giovani volteggiano appoggiando i movimenti ad un suono di tamburi che si sposta nello spazio rincorrendo le tre voci dei tamburi del candombe. Vecchi, ragazzi, negri e bianchi. La processione è eterogenea. Alcune ragazze seguono il corteo con occhi attenti e cartoni in mano. Il suono cambia forma se cammini più lento o più veloce rispetto alla processione. Cambia al variare degli edifici che si incontrano. È un magma sonoro, un mantra. Lo sforzo dei suonatori visibile. Nessuno balla, solo le ragazze e le vecchie all’inizio del corteo. Quando la strada si allarga, dopo una mezz’oretta di candombe il corteo si ferma, si allarga il suono diventa più intenso, la concentrazione è al massimo. fortissimo. Non capisco chi dirige questa fanfara di tamburi. Mi piace pensare che non ci siano direttori e forse è così. Entra nella mischia dei suonatori ordinati un vecchio con un cartello. C’è scritto: silenzio. I tamburi sorridono, poi tacciono, ma era il momento di tacere. Suonatori e pubblico prendono una pausa. Tutti bevono mate perché in Uruguay ancora più che in Argentina, e’ un abitudine ossessiva. Non si esce senza termos dell’acqua calda e bombilla per bere. Le ragazze raccolgono i cartoni che portavano e accendono un fuoco. Serve per scaldare le pelli dei tamburi. È domenica. Le ragazze che ballavano sono come le farfalle. Quando la musica finisce sembrano insetti come gli altri. I tamburi hanno colori. Giallo, verde, violetto e disegni. Su un tamburo verde un’aquila gialla. È l’aquila della Nigeria. La riconosco, è l’aquila che avevo disegnato sulla spiaggia. Ma la musica ricomincia di lì a poco e le farfalle volano ancora. La notte cala veloce e la suggestione dei tamburi cambia ancora. Sono le otto e dobbiamo preparare le cose per la partenza. Sono le nostre ultime ore in Uruguay. Un pezzo della famiglia Mendez-Zilli verrà con noi in Argentina. Pablo, un batterista. In questo viaggio, per tutti Paolo.

24 ottobre 2005
Ancora la frontiera fra Uruguay e Argentina. Dormono tutti. Scendo a fumare. Questa volta nessun problema per passare. Il viaggio sarà lungo. Sulle corriere argentine si dorme bene. Sono fatte per i viaggi lunghi. L’Argentina non ha una rete ferrovoaria efficiente. Era gestita dagli inglesi, che qui, hanno fatto i loro interessi. Come molti. Terra strana l’America. Mi procura sempre lo stesso sentimento. Un misto di eccitazione e compassione che si trasforma presto in lacrime. La Plata è a pochi chilometri da Buenos Aires, 50 credo. Suoniamo in un posto molto bello. Un centro culturale con annesso bar e sala esposizioni. Piove forte. È la prima giornata di pioggia e se non sbaglio è lunedì o martedì. Si capisce che non sarà un concerto facile. I gruppi sono un po’ appannati. Ma quando suonano Jabberwocky, qualcosa scatta. Sarà che ci sono le morose, in tour antiorario in Argentina, sarà che sono bravissimi, scatta la festa. Per noi che suoniamo dopo è tutto in disecesa, nel senso che il festino è partito e tutti sono disposti a divertirsi improvvisando anche uno spogliarello quasi completamete maschile. A noi, abituati ad adolescenti ammazzapapà. Finisce che mangiamo alla sede degli italiani. Gare a chi canta meglio e a chi beve di più. Faccio la doccia che poi per un po’ non si vede acqua calda. Sono davvero felice. C’è Romina, la mia amica anarchica argentina. Mi racconta dei suoi progetti e la vedo bellissima. Chissà come vede me. Mi sento cosi rovinato dall’ultima volta che ci siamo visti. Sono sicuro che tutto andrà bene, come lei si merita. Siamo pronti per ripartire.

25 ottobre 2005
Qui la carovana si separa. Tre guppi suonano a Mar del Plata, e due a Bahìa Blanca.
GG viene con noi e i Kosovni. Ci fermiamo a Mar del Plata a lasciare gli altri: Arbe Garbe, Kraski Ovcarji, Jabberwocky. Li lasciamo a fare colazione in un albergo prima della città. Davanti c’è l’oceano. Con la sua sabbia finissima e l’acqua gelata. Sulla sinistra la città. Una vera città americana. Grattacieli e cemento dentro una natura indomabile. Il vento freddo ci rende uomini. Il collettivo in difficoltà anche. Mancano le sigarette, la corriera è di nuovo ferma, la colazione da pagare tutti motivi buoni per sclerare. I due autisti, bravissimi, che guidano il nostro mezzo, tutte le volte che il cretacico mezzo di trasporto lo richiede, inodossano la tuta da meccanico e con perizia e pazienza riparano qualcosa che ha a che fare, oggi, con l’olio. Si riparte qualche ora più tardi. A Baìha Blanca ci aspettano. Prima di partire ci viene a salutare un amico di Enrico, Fabio, con suo fraetello più piccolo, che è di San Quirino, vicino a Pordenone. A dire il vero ora abita in Cina, che è quasi un modo per mandare qualcuno a ‘quel paese’. Ma davvero abita in Cina e ci incontriamo da questa parte del mondo. Forse, davvero il mondo è più piccolo in questo oggi.
A Baìha Blanca i friulani sono supportati da una una grossa comunità di marchigiani. Arriviamo al circolo degli italiani. Veniamo dati in affidamento alle rispettive famiglie. Il racconto delle gesta della nostra tournée ci precede. Nei blog dei siti dei gruppi abbiamo scritto frammenti di cose. Per lo più idiozie, sfortune, aneddoti, niente che davvero possa descrivere l’incredibile esperienza unama che stiamo vivendo. Ma quelle parole forse bastano a rendere le nostre facce meno sconosciute. Mangiamo bene assieme alla vice console, romagnola, e gli amici italiani. Ma sono davvero argentini, i loro figli. Poi, tutti al club. Qui due ragazze bellissime cantano. Canzoni soul e classici argentini. Con bravura, talento e passione per la musica. Canto anche io. Lo faccio perché Georgina vuole ascoltare ” Ogni adolecencia coincide con la ghera”… praticamente siamo tutti e tre sul palchetto. Siamo tre allegri ragazzi morti in Argentina. Penso sia un buono spettacolo. La serata è lunga e bellissima.

26 ottobre 2005
La mattina comincia frenetica. La promozione della serata, organizzata con perizia da Graziella mia ospite e dalle famiglie italiane deve essere supportata da: conferenza stampa con il Console italiano. Fatta. Parla Davide Drius il suo castellano fluido… poi via alla radio. Una radio rock national che ripete le frequenze di Buenos Aires con qualche trasmissione locale. Anche qui Davide Drius esibisce il suo castigliano fluido. D’altra parte, la mimica che è la mia lingua migliore, per radio non è facile da capire. E ora di nuovo a fare un aperitivo al consolato. Ora ci sono tutti. Si sono sveglati. È più difficile stare fra due soli gruppi dopo tutto il tempo passato in 40 persone. Mi sembra che ci sia qualcosa che non funziona. Elaboro una teoria che vede LEO VIRGILI degli Arbe Garbe come centro di tutta l’armonia. La sua mancanza un inevitabile baratro di combattimenti fra ego sproporzionati, quelli dei musicisti, si intende. Il mio è enorme, lo conosco. Ma ho autocontrollo. Mi conosco. Siamo un po tesi. Forse i ragazzi di Bahìa Blanca, così ospitali e caldi si meritavano lo spettacolo completo. Abbiamo fatto concerti in piazze e in teatri. Sappiamo che questa formula, così impegnativa, lo spettacolo dura 5 ore circa, in teatro può essere più difficile. Il teatro è comunque bellissimo. Americano. Più di mille posti con il palco ampio e l’impianto buono. Ci sono due bande che suonano con noi. LA NAVE e NADA SOUL. I primi cantano in italiano i secondi sono praticamente i ragazzi che suonavano ieri sera al club. Sappiamo già che sono molto bravi. De La Nave, davvero ricordo solo i denti bellissimi di una ragazza di cognome Cantoni. Poi è il nostro turno. Penso di aver fatto un a buona esibizione con tutto. Topo compreso. Qui se lo meritano. Arrivano notizie strane da Mar Del Plata. Concerto in forse causa allarme bomba. Ci sarà Bush, il presidente degli stati uniti fra pochi giorni e le misure di sicurezza impressionano. Cena meravigliosa con il console. Poi si potrebbe anche fare mattina, anche se è mercoledì, e lo facciamo, complici i nostri nuovi amici.

27 ottobre 2005
A Tandil arriviamo in una ‘cinta’ con campi da rugby. Tutta l’Argentina parla della bellezza di Tandil. Sta sotto la cordigliera e c’è l’università e tanti giovani. Si suona in piazza dentro ad un gazebo bianco stile inglese. La temperatura diventa fredda. Tutti suonano bene ma prima della nostra esibizione un gruppo locale, un trio incendia la folla con classici del metal glam internazionale per rimettersi nella linea del rock national. La piazza si scalda. La temperatura scende ancora. Alla fine dell’esibizione diventa difficile suonare per noi. È il nostro concerto peggiore. Lo vedono in pochi. Gli amici di Enrico urlano i titoli di qualche pezzo che eseguiamo. Restiamo alcuni in un bel locale che velocemente si riempie di gente. Le ragazze sono belle, ora è il momento di tornare. Tornare a cosa? Una stanza enorme con 40 lettini. Una roba da fiaba. Potrebbe sembrare una follia. È stato bello.

28 ottobre 2005
LUCA PRODAM, LUCA PRODAM è il solo italiano che può suonare rock & roll… che cosa venite a raccontare? … solo Prodan era italiano del rock & roll. Un ubriaco infilato nel camerino, con la faccia rossa e i lineamenti da polacco sbraita la sua discutibile verità. Cerca gli occhi di qualcuno che gli dia credito. I miei non glieli regalo. Michele detto cucciolo dei jabberwoky è bravo. Prende la sua chitarra acustica con la muta 012, come Neil Young e spara due rock & roll classici ed inappellabili. Roll Over Beethoven e Johnny B. Good dritti sulla sua faccia. L’ ubriaco sorride. È sedato.
Fuori dal camerino, la palestra nella quale suoniamo urla, come tutte le palestre del mondo. Difficile controllare il suono delle bande italiane. Tanto meno quello delle bande Argentine che suonano con noi. Sono tre. Una rock national, una più reggae, una piena di teatro e ironia, costumi e invenzioni. Il front man vestito da papa, ma con le movenze di un Jagger di 100 kg porta il gruppo dentro e fuori la citazione con energia speciale. Ma c’è un gruppo che è in tour con noi. Sono italiani, certo ma parlano in svolveno e sanno anche il serbo croato. vuol dire che lo spagnolo l’hanno imparato in questi 15 giorni di Argentina. Insomma il suono di questi italiani con la lingua slava e la vita piena di musica produce lo show più preciso. Canzoni slovene e ritmi balcanici. Si alternano i solisti. Prima la voce di Aljosa, poi il cliarino di Igor, la voce femminile di Martina, il violino indiavolato di Istok e la ritmica di Martin Biker, la tromba.
Suonana da paura, davvero sembra che gli strumenti prendano fuoco. Nel buio della palestra di Lujan, i loro trumenti prendono davvero fuoco. Il clarino prima, la chitarra poi. Non scherzo, fuoco vero. Martin bagna gli srtumenti con la benzina dello zippo e …fuoco. Spettacolo.
qualcuno dice di aver visto l’ubriaco di prima uscuire con lo zaino di Igor pieno di telecamera e biglietto d’aereo…
Dormiamo in albergo avicino alla cattedrale cattolica più grande del Sud America. Una specie di Notre Dame ma di pietra rossa. Ci sono anche i gargoile. i sarebbe una festa, dietro all’ albergo dove dormiamo. Io vado a dormire. Mi farò raccontare da GG e da Enrico.

29 ottobre 2005
Suoniamo presto a Buenos Aires. Il palco è perfetto, l’impianto ottimo. La Plaza Costanera Sur, non lontano da Porto Madero dove dormiamo. Quando GG mette a punto l’impianto con il check di Arbegarbe produce subito qualcosa. Le donne del vicino mercato lo dicono chiaramente. Non si capisce cosa la gente chiede. Viene adottato il civile attrezzo misurarumore. 86 decibel, al massimo. In una piazza così grande è poco per GG. Siamo i primi a suonare perché saremo anche i primi a partire. Oggi stesso. Facciamo il miglior concerto del Tour, davanti a poche persone. Si sa che quando c’è da combattere nessuno è più forte di noi. Recito i nomi di tutte le persone che hanno suonato, tutti i nomi delle bande, tutti i nomi dei ragazzi che sono venuti in tour e che hanno fatto almeno un pezzo di strada con noi. Sono sicuro di aver dimenticato qualcuno. Appena scendo dal palco capisco chi ho dimenticato. Sono Pieri, il giornalista free-lance e Davide il fotoreporter. Li saluto adesso. Alle 18 meno dieci dobbiamo partire. Abbiamo l’aereo alle 23,30 ma ci vuole un’oretta per arrivare all’aeroporto e come dice Enrico, un po’ di decompressione prima di partire forse ci farebbe bene. Vedo in mezzo alla piazza una maglia rossa familiare. La indossa un ragazzo sorridente. Ha la maglia con il disegno de ‘il sogno del gorilla bianco’. È un ragazzo di Roma. C’è anche una ragazza di Roma con lui. Sono venuti per il concerto, un po’ tardi. Ma non importa. è gia pazzesco essere qui, dalla parte del mondo dove il nostro nord è sostituito dal sud. Intanto sfilano i gruppi sul palco come una passerella finale. Ora è il turno di Jabberwocky. Spingono i fiati, il gruppo tira. Sono le 18 meno dieci. Dobbiamo partire. Così il concerto si interrompe per i saluti. Chi l’aveva mai visto un concerto che si ferma per salutare tre che partono? Luca ha deciso di restare ancora qualche settimana. Siamo in auto, nelle mani del nostro ospite Josè Sabbadini. Ci porterà a prendere un taxi dall’altra parte della città. Più comodo per arrivare all’aeroporto. E ci regala un finale da film. Passano davanti ai finestini, la casa Rosada, Il Parlamento e il micocentro di Buenos Aires che se non l’avete mai visto vi assicuro è uno spettacolo. Poi Sabbadini accosta, scende dall’auto e sceglie il taxi per noi. Ne ferma uno in buone condizioni di carrozzeria. Contratta per noi il prezzo e poi fa salire nell’auto quelli che per aspetto e forma dei bagagli non possono essere che tre rockeri in fuga dalla città. Ci abbracciamo. Dopo qualche centinaio di metri il taxi in corsa viene affiancato dall’auto di Sabbadini che, sempre in corsa allunga dei bigliettini e con voce forte dice: ”qualunque problema abbiate, questo è il mio numero”.
Bravissimo. Non siamo soli in questa città che gli Argentini stessi chiamano il tritacarne. Lo capiamo noi e soprattutto il taxista. I 40 minuti che ci separano dall’aeroporto sono un viaggio veloce nella storia del rock argentino. Il taxista ci parla di una storia che già conosco. La storia di un italiano che si chiamava Prodan e che con un gruppo, i Sumo, ha inventatao il Rock National. Un Italiano che è morto come i miti, giovane. Ucciso alcolizzato dalla Jinevra, una grappa di ginepro molto bevuta in Argentina. La storia continua con la scissione dei Sumo in due gruppi tuttora in attività. I DIVIDIDO, e Las Pelotas, E poi ci sono i Redondito de Ricota. Ci dice il taxista che qui fanno più gente dei Rolling Stone che è come dire che sono più famosi dello stesso rock & roll. Perchè in Argentina i Rolling Stone sono tutto. Ci assicura anche che Charlie Watts, il baterrista dei STONES, viene spesso a Buenos Aires, perché è un pittore e qui trova ispirazione. Niente di più possibile. I Redondito non hanno bisogno di neinte. Nenche della televisione. Non fanno promozione, ma sono la banda più importante. E poi c’è LA RENGA, e Los Piocos che intanto ci fanno da colonna sonora. Siamo arrivati. Pronti ad entrare in quello spazio assurdo che è l’aeroporto. A Roma mi aspettano altre tre ore di macchina per arrivare a LUCCA COMICS. C’è la mia mostra. La mostra con i lavori dei miei ultimi cinque anni di fumetti. Ora seduto con Enrico al fianco e GG vicino, mi concentro sul vino che la Areolinas Argentina mi offre. Viene da Mendoza. Ha 13,90 gradi. Ci vediamo a Roma il 30 ottobre.